Il patto digitale

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Cominciamo con una promessa disattesa: nello scorso pezzo avevo detto che avrei parlato delle crisi di sistema, per capire meglio qual è lo stato di equilibrio dell’attuale configurazione dei rapporti sociali ed economici e, di conseguenza, cercare di prevedere la portata delle trasformazioni indotte dalle AI. Invece i ragionamenti che stanno venendo fatti sul metaverso (qui e qui) mi offrono l’occasione per fare il punto su un altro tema chiave: che cos’è il digitale, e cosa significa la “realtà digitale”, nelle sue forme?

Che cos’è una promessa?

Prima di affrontare questo tema, però, vorrei porre il problema della promessa. Un sistema, quale che esso sia, si basa su una serie di funzioni che lo definiscono. In altre parole, su quello che ci si aspetta che faccia, sui suoi indicatori di funzionamento. Ciò vale tanto per sistemi piccoli e chiusi, quanto per quelli più grandi, complessi e aperti. Vediamo due esempi. Un veicolo è un sistema chiuso, composto da un numero di parti con funzioni specifiche, ognuna delle quali mette il veicolo in condizione di raggiungere certe prestazioni. Da un’utilitaria ci aspettiamo prestazioni diverse rispetto a un fuoristrada o un’auto sportiva: queste aspettative formano una specie di promessa, che può essere mantenuta o meno. Ed è su questa base che decidiamo se siamo soddisfatti dell’auto, se funziona o è un fallimento.

Su una scala decisamente più vasta, da qualche secolo si parla di contratto sociale, per intendere che una società è un dispositivo che deve soddisfare una serie di aspettative e che viene legittimata dalla sua efficacia in questo senso. Il modello confuciano che, per quanto continuamente reinterpretato e spesso stravolto, continua a formare il paradigma cinese di legittimazione del potere, usa in questo senso la nozione di mandato celeste. L’idea è che il potere sia legittimato quando è in grado di regolare efficacemente tutte le forze che influenzano la vita sociale, comprese quelle naturali. Tanto che catastrofi, carestie e ribellioni sono viste, nella storiografia tradizionale cinese, come segni sostanzialmente omogenei del fallimento politico. Posso quindi anticipare che, nel prossimo pezzo, andrò in cerca di promesse mancate.

Digitale e numerico

Tornando a noi: per capire che cosa sia il digitale, provo a prenderla alla lontana, risalendo un po’ indietro nella storia. Per la precisione, fino all’ottobre 1623, quando esce il Saggiatore di Galileo Galilei. Qui si trova una celebre affermazione programmatica: “La filosofia [della natura] è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto dinanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscere i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezi [sic] è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto”.

Si tratta del passaggio chiave per la comprensione scientifica del mondo: dire che la matematica permette di accedere ai misteri della natura significa rendere possibili osservazioni sistematiche, teorie e dimostrazioni. Significa già digitalizzare il reale, dato che digitale significa numerico, a partire dall’atto del contare, sulla punta delle dita. Il numero, insomma, ricondotto subito alla prassi, al far di conto e di calcolo: non simbolo mistico ma agire concreto. A tenere insieme il mondo della natura e la conoscenza umana, così, è un’operazione da contabile, da mercante, da oste, che cerca di far tornare i conti.

La portata rivoluzionaria dell’enunciato galileiano, forse anche al di là delle sue intenzioni, è anche nella maniera pragmatica, quasi spiccia, con cui affronta il libro della natura come un problema da risolvere, con testa fina e metodo sicuro. Ecco perché, sia detto per inciso, fanno un po’ ridere le superciliose distinzioni tra la nobile scienza e la tecnica grossolana: il sapere scientifico è sempre tecnico. Vale a dire, nato in una prassi e orientato a risultati pratici, misurabili e utilizzabili.

La digitalizzazione degli oggetti

Bene, la digitalizzazione è questa cosa qui: prendere un oggetto e tradurlo in numeri, per poterli trasformare attraverso operazioni di calcolo. Prendiamo, per esempio, la digitalizzazione di un’immagine. Si tratta di un’operazione che avviene suddividendone la superficie in molte unità più piccole (i pixel), ognuno dei quali è dotato di due attributi numerici. Il primo ne definisce la posizione all’interno dell’immagine, il secondo colore e luminosità rispetto a una tavolozza predefinita. Il mondo cosiddetto reale, quello per intendersi normalmente accessibile al nostro corpo, genera così una sorta di doppio fatto di numeri, che può essere modificato indipendentemente dal primo e restituito in qualsiasi momento alla nostra percezione.

Ecco cosa avviene quando siamo esposti a immagini o interagiamo con oggetti digitali: nulla di diverso rispetto a esperienze analoghe con il mondo cosiddetto reale. Perché in entrambi i casi i nostri sensi funzionano allo stesso modo. Quello che cambia, semmai, sono le proprietà degli oggetti: una piuma può pesare una tonnellata, una barra d’acciaio può essere piegata senza sforzo e così via.

Mondi possibili e mondi narrativi

Il mondo degli oggetti digitali ha una forma narrativa, nel senso che quello che vi accade dipende da regole scritte liberamente, ma vincolanti finché non vengono cambiate. Queste regole definiscono una serie di mondi possibili, definiti da una serie di caratteristiche che sono la norma al loro interno. Diversi studiosi di teoria della narrativa hanno cercato di definire come vengono costruiti questi mondi, per capire il funzionamento della narrazione (qui un buon compendio).

Possiamo dire che alcuni generi sono definiti da un insieme di convenzioni, che stipulano una specie di patto con il fruitore. Per intendersi, in un romanzo di fantascienza non ci stupiremmo di vedere astronavi più veloci della luce. In un’opera fantasy, la magia è la norma, in una favola lo sono gli animali parlanti e così via. Allo stesso modo, in un romanzo erotico prima o poi qualcuno deve finire a letto con qualcun altro e in un giallo ci deve scappare il morto. Siamo ancora alle promesse: la coerenza con cui un mondo narrativo rispetta le regole iniziali è fondamentale affinché il lettore possa trovarvisi a proprio agio.

Il mondo nuovo

Da qui, possiamo trarre due conclusioni importanti. La prima è che le realtà digitali non sono diverse dalla realtà fisica perché “false” ma perché sono definite da condizioni stabilite a priori. In altre parole, la scienza cerca di comprendere le regole del mondo fisico e queste stesse regole formano la base per costruire i mondi digitali. La seconda è che il fascino che questi mondi esercitano su di noi non deriva tanto dalla capacità di illudere i sensi ma da quella di raccontare storie. Un mondo digitale è un contenitore di possibilità narrative.

Il metaverso è esattamente questo: un enorme universo narrativo, accessibile a tutti, con regole definite da un demiurgo pressoché onnipotente. Ed è per questo che è così importante, così suggestivo e così pericoloso: perché a noi umani piace raccontarcela. Abbiamo bisogno di narrazione, se non altro come modo per poter pensare a un mondo diverso e magari provare a realizzarlo. Per dirla con uno slogan di vent’anni fa, dobbiamo poterci dire che un altro mondo è possibile. Bene, lo è. Ma qualcuno ha già deciso che è suo. Ne facciamo un altro?