Di Algoritmi e di errori

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Versa dell’acqua in un pentolino.
Accendi il gas e fai scaldare l’acqua fino a farla bollire.
Spegni il gas e versa l’acqua in una tazza.
Immergi nell’acqua un filtro contenente del .
Aspetta circa cinque minuti prima di iniziare a sorseggiare la bevanda.

No, non avete sbagliato blog: quello che avete letto finora ha assolutamente ha a che fare con i nostri argomenti. Perché quest’elenco di azioni, banali e quotidiane, altro non è se non… un algoritmo.

La parola «algoritmo» invade ormai le nostre vite: gli algoritmi sembrano decidere tutto ciò che compone la nostra esperienza online – e di conseguenza offline; a causa degli algoritmi finiamo in comunità social che corrispondono i nostri intenti e interessi. Ed è dunque oltremodo lecito chiedersi: cosa diamine è un algoritmo?

Un algoritmo è “semplicemente” una serie di comandi, messi in fila in modo ordinato e preciso, che permettono di ottenere un qualche risultato.

L’acqua, il gas, il filtro del tè, la tazza… messi insieme costituiscono un input. Il  da sorseggiare sarà l’output. Tra l’input e l’output c’è la preparazione, rigorosa e coordinata: quello è l’algoritmo.

Immaginiamo, ora, di dover spiegare queste procedure a una persona che parla una lingua diversa dalla nostra: dovremmo procedere traducendo ogni parola e ogni forma linguistica per farci capire.

Ebbene: una macchina (un computer ecc) parla una sua propria lingua. E se riusciamo a conoscere quella lingua, beh, è possibile darle degli input e comunicarle un elenco di passaggi per ottenere un output.

È in questo modo che, ad esempio, Netflix può suggerirci film o serie tv in base ai nostri gusti – dopo che abbiamo visto già qualcosa sulla piattaforma: le opere che abbiamo visto sono un input, il consiglio che ci fornisce è l’output… e in mezzo c’è un algoritmo, scritto nel linguaggio della macchina da alcuni programmatori, in grado di trasformare i film che vediamo in consigli per altri film.

In questo modo possono essere organizzate un’infinità di cose: anche perché tutta la nostra vita – e il nostro corpo stesso – funziona su una vera e propria base algoritmica.

Lo storico, filosofo e antropologo Yuval Noah Harari, nel suo libro Homo Deus, fa un esempio molto calzante per farci capire come tutta la natura stessa sia innervata dal meccanismo algoritmico.

Una scimmia si trova davanti un casco di banane succulente… ma lì accanto c’è un leone accucciato.

La scimmia dovrà valutare dunque tutta una serie di dati (la sua forza muscolare è in grado di fare un balzo agile arrivando al casco senza farsi sentire dal leone?; ha così tanta fame da rischiare la vita?; il leone dorme profondamente o è sveglio? ecc), ordinando il tutto in una sequenza quanto più infallibile possibile, per giungere alla fine a un output: tentare di prendere il casco oppure rinunciare.

Capita tante volte di sentirsi come quella scimmia. E capita tante volte di prendere una decisione sbagliata: perché il nostro algoritmo è stato composto in modo fallace… esattamente come quando Netflix consiglia una serie come “Dark” a un fan delle commedie… o come quando lasciamo raffreddare troppo il  e ci tocca bere una brodaglia sgradevole.

In quei casi la colpa è dell’algoritmo in sé? O dell’umano che lo ha composto?

Ovviamente la risposta è la seconda. Ed è per questo che è importante comprendere come funzionano gli algoritmi: ci permette di capire senza tentennamenti che le Intelligenze Artificiali, completamente mosse dagli algoritmi, sono sempre e costantemente collegate alle nostre capacità. Siamo noi i responsabili. Un qualcosa come Terminator – ancora – non esiste e non può esistere.